Il cioccolato è come l’eroe classico: buono e bello. I due aspetti sono inscindibili perché un cioccolato “brutto” non potrà mai essere anche “buono”.
Ma andiamo per ordine: come dovrebbe essere il cioccolato? Perché buono e bello sono legati? E come si fa per ottenere questo risultato?
Per esprimere al meglio tutte le sue caratteristiche organolettiche, gusto incluso, il cioccolato deve essere temperato correttamente (un buon temperaggio è davvero fondamentale).
Ma quali sono i criteri di qualità del cioccolato?
Ebbene, un buon cioccolato deve essere:
- di superficie omogenea e lucida alla vista
- di consistenza dura al tatto ma fondente in bocca
- croccante all’udito quando lo si morde
- di aroma intenso (questo copre quindi sia il gusto che l’odorato).
Eccoci allora al punto “del bello e del buono”: tutti gli elementi di cui sopra si ottengono con un buon temperaggio del cioccolato. Un cioccolato mal temperato prenderà un colore “grigiastro” e opaco, spesso poco omogeneo e con striature biancastre, ci metterà tantissimo a rapprendersi e non arriverà comunque alla giusta durezza, senza contare che avrà la fastidiosa abitudine di fondere rapidamente tenendolo in mano. Sarà inoltre poco pratico per lavorare e obbligherà il malcapitato a mettere gli stampi in congelatore o in frigo per riuscire a tirare fuori uova e cioccolatini.
Come se tutto questo non bastasse, il cioccolato perderà rapidamente il suo profumo intenso e non restituirà in bocca né la giusta scioglievolezza né tanto meno tutto il suo profilo aromatico.
Abbiamo così chiarito che estetica e gusto sono indissolubilmente legati perché entrambi dipendono dal processo di temperaggio.
Immagino che ora ne vorrete sapere un po’ di più su questa tappa di lavorazione del cioccolato: cos’è esattamente il temperaggio? E come si esegue?
Tecnicamente il temperaggio agisce sul burro di cacao, che è il diretto responsabile della consistenza del cioccolato (duro a temperatura ambiente, sciolto a contatto con l’interno della bocca). Si tratta di una materia prima strana e affascinante: un burro che passa direttamente dalla fase solida a quella liquida quando lo si fonde (senza passare per una fase cremosa), e che necessita un particolare lavoro per riprendere la corretta texture (cioè la consistenza) una volta che si solidifica.
Il burro di cacao è infatti composto da 6 tipi di cristalli, ognuno con caratteristiche diverse in termini di temperatura di fusione e di stabilità alla cristallizzazione. Fra questi cristalli solo un tipo è stabile, cioè permette una cristallizzazione/solidificazione corretta (che eviti quindi tutti i difetti di cui sopra).
Temperare il cioccolato significa eseguire una precisa curva di temperatura: ciò permette di “selezionare” il tipo giusto di cristalli, in modo che siano proprio questi a svilupparsi maggiormente durante la cristallizzazione.
Mi rendo conto che questo discorso possa sembrare molto astratto e forse difficile da capire, tutto diventa però più chiaro all’atto pratico.
Ad esempio, vi ricordate il video dell’albero di Natale in stile Mendiants, quello dei pinguini di cioccolato oppure dei bonbons gianduja nera e nocciola? Avrete notato che tutti questi video cominciavano nello stesso modo: facevo colare il cioccolato sul piano di lavoro e poi lo “spalmavo” avanti ed indietro prima di rimetterlo nel contenitore ed utilizzarlo. Ebbene, questo è il metodo più classico con cui si tempera il cioccolato: volete sapere come funziona?
Ecco qui un video che illustra il procedimento attraverso il gesto tecnico, passo per passo. Se siete molto curiosi e volete dei dettagli in più credo che gli ultimi paragrafi del post faranno la vostra felicità.
Prendiamo ad esempio il cioccolato fondente (come nel video).
Innanzitutto si fonde il cioccolato a 50°C: a questa temperatura sappiamo non solo che il cioccolato è sciolto, ma siamo sicuri che tutti i cristalli siano fusi (ricordo che alcuni tipi fondono prima di altri, un cioccolato sciolto ma a temperatura più bassa potrebbe quindi presentare ancora dei cristalli non fusi).
A questo punto il cioccolato si versa sul piano di lavoro, avendo cura di lasciarne un pochino nel contenitore.
Il cioccolato viene quindi “spalmato” sul piano di lavoro e poi raggruppato più volte affinché scenda fino ad una specifica temperatura (28°C nel caso del cioccolato fondente). Stiamo così precristallizzando il cioccolato: questo shock termico favorisce la formazione dei cristalli “buoni”, che continueranno poi a svilupparsi e ci daranno nel giro di breve tempo il famoso cioccolato duro e brillante. Anche il fatto di continuare a muovere il cioccolato è importante, perché permette di ripartire in maniera più omogenea questi cristalli nella massa.
Non appena si è raggiunta la temperatura voluta, si deve rapidamente riunire tutta la massa di cioccolato nel contenitore, per evitare che si raffreddi troppo (anche un eccesso di cristalli “buoni” dà luogo a difetti vari).
Se abbiamo eseguito correttamente l’operazione, il cioccolato dovrebbe essere ora leggermente risalito in temperatura (ecco perché abbiamo lasciato un po’ di cioccolato caldo nel contenitore) e trovarsi esattamente alla temperatura di lavoro (31°-32°C in questo caso).
Infine, anche se la temperatura finale è corretta, prima di utilizzare il cioccolato è comunque sempre bene fare un test (ricordo che il mio maître d’apprentissage agli esami metteva un bello zero a chi dimenticava questa tappa): si prende una piccola quantità di cioccolato e la si mette sul piano di lavoro. Se nel giro di pochissimi minuti il cioccolato si solidifica e non presenta striature tutto va bene: si può allora procedere nel lavoro. In caso contrario… si deve ricominciare tutto daccapo!
Se siete arrivati fin qui: complimenti! Siete dei veri golosi di curiosità tecniche!
Se aveste altre domande non esitate a scrivermele qui sotto nei commenti, oppure sulla mia pagina Facebook o via mail (elisacorallo.chocolat@gmail.com).
Al prossimo post!
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